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2014/10/22/15:08:22
No.29410
Salimmo una prima scala di pietra, col passo allegro di chi va su a un terzo piano, a fare una visita galante. Arriveremo in cima senza avvedercene, dicevamo. Ma quando a quella prima scala succedette la seconda, e a [p. O dio, si disse, nessuno ci fa fretta, possiamo salire con comodo: intanto si discorre. In quel momento appunto ci si presentava davanti una scala lunghissima, di piA1 di cento e cinquanta scalini, grigi, rigidi, affilati, che pareva dicessero: Ci assaggerete. Si spronA2 le scarpe, e su, di buon animo. Le barzellette ci aiutavano. Ci divertivamo a inventare dei supplizi atroci per certi critici, amici nostri; uno dei quali fu condannato a guadagnarsi la vita facendo da cameriere in un albergo immaginario che aveva la cucina nel forte di Carlo Alberto, e le sale da mangiare sulla vetta, affollate d'avventori impazienti. Ma la conversazione a getto continuo durA2 ben poco. Le scale sono uggiose, sempre eguali, rischiarate scarsamente, a intervalli, dalle feritoie altissime e strettissime; scale di convento o di carcere, per le quali uno s'aspetta ogni momento di incontrare dei frati stecchiti, o dei prigionieri di Stato in catene. Passando accanto alle feritoie, vedevamo di sfuggita il forte sottoposto, altre feritoie, altri muri grigi, dei cortili tristi, e di lA? i monti vicinissimi, neri di pini, che coprivano il cielo. Qualche gocciola birbona, che cominciava a filarci giA1 dalle tempie, ci preannunziava una camiciata memoranda. Il Giacosa, per distrarsi, prese a contar gli scalini; ma dopo averne contati meno di trecento, sconsolato dal pensiero che ne rimanevano ancora piA1 di tremila, si mise a [p. Andiamo, andiamo, ci dicevamo a vicenda, tutto ha una fine, su questa terra. E giusto allora, a uno svolto, ci si allungava davanti un'altra cosA¬ formidabile scala erta e sinistra, che ci guardammo l'un l'altro con quella particolare espressione del viso, che si potrebbe chiamare: il sorriso del terrore. Ma il sergente che ci andava dinanzi snello, salendo gli scalini a due, a tre alla volta, come una creatura indipendente dalla legge di gravitA?, asciutto in viso che pareva arrivato allora con la funicolare, ci tirava su per il gancio dell'amor proprio. Certi tratti di scala eran piA1 chiari, e ci si saliva con piacere; altri, oscuri come gallerie di strada ferrata, pareva che entrassero nelle viscere della montagna, e ci obbligavano a tastare il muro con le mani. L'aspetto singolare del luogo ci attirava: la luce fioca, il colore delle pareti e delle vA2lte, la solitudine, la tristezza, mi richiamavano alla mente l'Escuriale. A ogni pianerottolo, soffermandoci a pigliar respiro, vedevamo da una parte una scala interminabile che ci si sprofondava sotto i piedi, perdendosi nel buio, e dalla parte opposta un'altra scala senza fine di cui la vA2lta nascondeva la sommitA?, alla quale pareva che non si potesse arrivar che strisciando. E sali, e sali. Agli scalini rettangolari succedono gli scalini inclinati, alle branche a scala, le branche piane, poi ricominciano gli scalini, poi tornano da capo gli anditi lisci che salgono dolcemente, con gli scalini appena segnati da liste di pietre. In uno di questi tratti ci soffermammo, assaliti da un [p. Contano nei quattromila, domandammo al sergente, questi scalini senza rilievo? Oh no, signori! rispose con uno spietato sorriso il bravo giovanotto. Ma allora non li facciamo! noi gridammo. Siamo truffati! Non eran nei patti questi altri! Ma un'umile rassegnazione succedette subito a quell'impeto vano di sdegno e ci rimettemmo la inesorabile scala tra i piedi. Trasudavamo come due girasoli e soffiavamo come due mantici. Dalle feritoie ci venivano nelle costole dei soffi d'aria gelata, che ci facevan correre dei brividi maledetti sotto la pelle. Di tanto in tanto ci sentivamo sonar sotto i piedi il tavolato d'un ponte levatoio, messo lA? per tagliar la via agli assalitori nel caso di una difesa disperata all'interno. Sul nostro capo, lungo la vA2lta, correva il filo del telefono che trasmette gli ordini del comandante ai presidii dei forti superiori. A destra e a sinistra, c'eran degli enormi anelli di ferro, confitti nei muri giganteschi, per farci passar le corde con le quali si tirano su i cannoni, anche i piA1 grossi, rapidamente. Ma noi non badavamo gran fatto a tutto questo, occupati come eravamo a regolare sapientemente la nostra non soave respirazione. Avevamo una palla da cannone da dodici attaccata ai piedi, e le ginocchia ci ballavano sotto, con dei movimenti curiosissimi da cerniera di schiaccianoci, nei quali non aveva la ben che minima parte la nostra facoltA? volitiva. In molti punti la scala era disfatta per lunghi tratti e il suolo tutto ingombro di calcinacci e di sassi, e ripido da doverci posare i piedi ben pari, per non [p. Qua e lA? pareva che la scala s'impietosisse, gli scalini si schiacciavano, si saliva per qualche minuto cristianamente; ma poi, a una giravolta, ricominciava una scalinata da patibolo, che ci rompeva le articolazioni delle cosce. Ci eran delle branche di scala che sarebbero arrivate in linea retta dal pian terreno ai tetti di uno dei piA1 alti casoni di Napoli, e delle branche corte, ma disagevoli in compenso, rotte, buie, maligne, che riuscivan piA1 lunghe delle altre. E com'era tutto ingegnosamente combinato per far dell'ascensione un supplizio! Avremmo voluto riposarci un poco, di tempo in tempo; ma le feritoie eran cosA¬ fitte, che in qualunque punto ci soffermassimo, subito ci veniva addosso uno spiffero, una frecciata di vento autunnale, che ci mormorava all'orecchio: Che cosa desidera? Una flussione ai denti? Un reuma alle reni? Una polmonite? Un accidente? e ci spingeva su, come un aguzzino. E noi su, e avanti, stronfiando, con le gambe di piombo, con cento rivoletti deliziosi che ci s'incrociavano sulla schiena e sul petto, e con la testa ciondoloni, come dei malati d'amore. Mi ripassava pel capo quel brutto sogno del padre Dombey nel celebre romanzo del Dickens, quando sale le scale di casa sua, per ore e per ore, e si trova sempre nel medesimo punto, e una certa acqua forte, del Goya, se non sbaglio, dov'A¨ rappresentato un giovanetto, un puntino nero, che sale su per una montagna prodigiosa, in vetta alla quale non arriverA? che invecchiato. [p. L'unica consolazione, diceva quel capo ameno del sergente, A¨ di pensar che A¨ sicura. Salivamo adagio adagio, tacendo per lunghi tratti, con tutte le apparenze d'una profonda venerazione per il luogo, come se salissimo per le scale d'una reggia, in cima alla quale ci aspettasse un monarca d'Oriente, col nostro destino nel pugno. Per un pezzo c'eravamo confortati con dei versi, e bastandoci ancora la lena, avevamo cominciato a dire degli esametri; ma poi via via che s'accorciava il respiro, eravamo venuti stringendo i metri, fino a non recitar piA1 che il famoso sonetto francese